INTRO
Questa volta voglio frenare la mia tendenza a partire "ab ovo", ma qualche cenno questa vicenda lo merita. Ho conosciuto Dorino Maghini in occasione del Milano Hi Fidelity 2016, edizione autunnale. La vasta Hall del piano terra era popolata da diversi spazi espositivi e tra questi, posto al centro dell'Open Space, c'era quello di questa a me sconosciuta realtà lombarda dal nome "HDC Research". Ho parlato tante volte del valore intrinseco delle mostre audio, spesso vetrina non solo di luccicanti oggetti milionari, ma anche luogo d'incontro tra appassionati e scambio di vedute con gli operatori. Sul tavolo cinque apparecchi, tutti a valvole, rappresentativi della produzione. Oggetti dalla livrea semplice, ma non mancanti di un tocco di discreta raffinatezza. Quello che mi ha colpito non è stato tanto il loro aspetto quanto un case scoperchiato che lasciava in vista tre valvolone 300B. Ne ho visti e stravisti di amplificatori dotati del nobile triodo, mai però in triplice presenza e soprattutto montati in orizzontale. Ho subito pensato che il progettista non poteva essere "cattivo" al punto tale da celare alla vista del proprietario quelle splendide valvole, qualche ragione tecnica ci doveva pur essere per aver adottato quella strana posizione coricata. Mi avvicino all'operatore, un signore di mezza età dall'aria simpatica e disponibile, chiedendogli delucidazioni sugli oggetti esposti. Dopo un breve scambio di battute ci lasciamo con una promessa: un incontro dove poter parlare con calma di quelle amplificazioni. Dopo un mesetto ecco che Dorino viene a rendermi visita, disposto a colloquiare lungamente con me, raccontarmi la sua storia e la filosofia delle sue realizzazioni. Non è venuto da solo ma ha portato con sé varie fotografie d'annata, degli schemi circuitali, depliant e anche qualche testo fondamentale di elettronica, anche questi vintage.
DORINO MAGHINI
UNA STORIA DI PASSIONE E DI TECNICA
Un corso di laurea in fisica è una cosa pesantissima. Ho continuato per trentacinque anni la carriera universitaria nell'ambito tecnico-scientifico, sino al 2010, quando uscivo dal servizio di ricerca per pensionarmi. In quella veste avevo il compito di tradurre in apparati sperimentali degli obiettivi scientifici, vale a dire che da un programma dovevo pervenire a certi risultati teorici. In Italia si fa quasi esclusivamente ricerca di base, questo vale per la fisica (ma non solo) e ancora oggi purtroppo c'è molto poco di applicato nelle università statali. Lavoravo costruendo sostanzialmente catene di misura, mi occupavo di tutto quello che serve per fare rilevazioni di carattere fisico. In particolare il nostro gruppo, che faceva riferimento al professor Angiolino Stella, già rettore dell'università, era formato da spettroscopisti. Usavamo la luce, dall'infrarosso all'ultravioletto, come input d'indagine, usufruendo di una strumentazione ottica fatta da diversi apparecchi, lenti e specchi, anche banchi ottici, banchi in granito. Ogni esperimento era condotto in funzione della temperatura, per abbassarla bisognava fare il vuoto ed era necessaria tutta una strumentazione per andare verso lo zero assoluto e, volendo, anche salire a centinaia di gradi, sino anche a mille. Occorreva quindi una dotazione a largo spettro, che poi voleva dire anche delle elettroniche per l'acquisizione dei segnali e le relative misure. Tutto questo avveniva in un'epoca dove ogni cosa era manuale, solo intorno al 1980 ci fu l'arrivo dei computer. Sono quindi depositario di una formazione all'"antica", consolidatasi quando nell'ambito della fisica si facevano delle misure puntuali, in funzione dei parametri di temperatura e lunghezza d'onda della luce.
Sono abbastanza orgoglioso di quello che ho fatto, mi sono mosso nell'ambito dei piccoli gruppi di ricerca, di dimensione artigianale, dove lavorano tre, quattro, cinque persone al massimo. I tempi cambiarono, a un certo punto dovetti gestire il passaggio, nel nostro gruppo di fisica, dal tutto manuale al tutto acquisito in modo automatico attraverso i primi computer. Ricordo che comprai un HP 85, una macchina stupenda che si programmava in Basic, con uno schermo in bianco e nero da qualche pollice, una memoria di massa a cassetta e quattro porte a disposizione per gestire le periferiche. Ripensandoci ora è stato davvero un grosso passaggio. Parallelamente, coltivavo la passione per la musica e i mezzi di riproduzione audio e un elettronico cosa fa se non dedicarsi all'amplificazione? Erano gli anni '70, iniziai a cimentarmi con lo stato solido. Il primo amplificatore che costruii fu un monofonico con transistor al Germanio della potenza da 10 Watt. Impiegava i transistor AD 149. A quei tempi le riviste del settore erano Suono e Stereoplay, ne conservo ancora parecchi numeri. Allora c'era lo IAF (Istituto Alta Fedeltà) con il grande Renato Giussani che si occupava di misure. Sono un feticista AR. Edgar Villchur dell'Acoustic Research ha fatto quasi tutto, inventato la sospensione pneumatica e i trasduttori a cupola dei medi e acuti. È ricordato soprattutto per l'invenzione del sistema di carico in sospensione pneumatica, un'intuizione notevolissima che ha fatto la sua fortuna. Ho in casa e custodisco gelosamente le misure in camera anecoica di tutta la serie di diffusori AR.
In età matura mi sono documentato, scoprendo che la ricerca e lo sviluppo per arrivare alla 3a è stato enorme. Da quando ero giovane e non potevo permettermi di acquistare un sistema del genere, mi resi subito conto che il timbro AR non aveva nulla a che fare con gli altri. Mi piaceva girare per Milano nei pochi negozi esistenti per ascoltarle. Successivamente acquistai una RCF BR 40. Questo modello è stato il mio primo diffusore ad alta fedeltà, così come il primo giradischi fu il Thorens TD 150 con la testina Audio Dynamics ADC 550 XE. Finalmente riuscii poi a comprare la mia prima, anelata AR. Era una MST, il cabinet aveva forma trapezoidale e montava i componenti della più piccola AR 6. Da quel momento in poi sono sempre rimasto in casa AR. Nel 1983 iniziai a sviluppare delle elettroniche a valvole perché, in quegli anni, sulle riviste del settore cominciavano a ricomparire i tubi. Credo fosse stata la rivista Stereoplay a pubblicare lo schema circuitale dell'amplificatore Williamson, che poi ha fatto scuola nel campo dei Push-Pull. Da lì è iniziata una ricerca sotto l'input della passione per le riviste. Non mi limitavo però solo a quelle, andavo in biblioteca a cercare gli schemi originali, addentrandomi gradatamente nelle varie problematiche. Costruii allora un amplificatore Williamson Type. A me le elettroniche accoppiate in continua non piacciono molto perché, se qualcosa va storto, sono problemi grossi, perciò realizzai un Williamson dove il finale era costruito secondo lo schema originale, mentre nello stadio driver i primi due tubi erano accoppiati in alternata.
Il mio primo prototipo a tubi in assoluto risale al 1983, come telaio utilizzai una pentola da cucina capovolta con sopra le valvole. I trasformatori d'uscita erano degli UTC. Più avanti partì il primo tentativo pseudo-commerciale: uno stupendo amplificatore che definisco "pseudo" perché, pur essendo finito per la vendita, non è mai decollato. Questo oggetto è nato nel 1984 ed è sostanzialmente la versione in bella copia della "pentola". La UTC (United Transformer Corporation) è un grande marchio americano anni '60, di Chicago, il quale produceva molte famiglie di trasformatori, di alimentazione e audio. Il massimo nell'audio era la linea standard "Broadcasting", al vertice della qualità possibile. La UTC produceva trasformatori d'uscita a partire dal Milliwatt sino a 2500 Watt di trasferimento, in campo audio. Per l'Hi Fi di altissimo livello c'erano delle cose canoniche dedicate ai Push-Pull, configurazione che all'epoca andava per la maggiore. C'erano i PP americani e gli europei, le valvole più gettonate erano le 6L6, 6V6, 5881, le KT66 e le EL34. Tutte queste belle cose le ho scoperte proprio nel dipartimento universitario in quanto questi oggetti venivano utilizzati anche su apparecchiature scientifiche, come i modulatori di altissime prestazioni per fare la RMN (Risonanza Magnetica Nucleare). La RMN di base è una cosa da università. Le catene di misura Varian, una grande casa di magneti, usavano modulatori equipaggiati con trasformatori UTC. Ho misurato le prime cose su queste macchine, perciò ho avuto modo di conoscerli, capirli approfonditamente.
Partendo dal Williamson classico è iniziato il mio percorso di penetrazione del punto di vista teorico, di progetto e realizzazione. Contemporaneamente, mi addentravo nelle problematiche di psicoacustica, in funzione di tutti i parametri della nostra percezione. Circa trent'anni fa sulle riviste, che da molto non seguo più se non saltuariamente, si affacciò il ritorno della configurazione Single Ended, che è un altro bel salto di anni indietro nel tempo. Potrà sembrare paradossale, anacronistico, ma in questo momento le cose più apprezzate sono quelle iniziali, mi riferisco alle prime architetture circuitali degli anni tra la prima guerra mondiale e la seconda. Parlando da tecnico, dai semiconduttori ai Push-Pull a tubi è un po' il salto che c'è tra il Push-Pull e il Single Ended. Prima di abbandonare i transistor, bisogna superare delle vere e proprie "barriere supersoniche" poiché non ci si può rendere conto solo dalle misure del cambio di suono. Se non si correlano le misure con l'ascolto, non si capisce nulla. La stessa cosa, grosso modo, può capitare nel passaggio dal Push-Pull al Single Ended, sempre di tubi si tratta ma le configurazioni sono diverse. Nella mia storia c'è un grande amico che non vedo più da tempo, Sergio Marullo della Top Knot, vendeva vinili in giro per le fiere. Lo conobbi per caso fra il 1994 e il 2000 a un Top Audio, nel periodo in cui abitavo a Pavia (sono stato undici anni in quella città). L'amicizia è nata per via di una macchina fotografica che avevo al collo, non per l'alta fedeltà. Sergio ha ascoltato tutto nella sua carriera perché ha vissuto vent'anni a Londra, negli anni '60.
Ha conosciuto tutto quello che gli inglesi producevano, i Leak, i Quad. Per questo motivo ha sviluppato una capacità critica d'ascolto molto elevata, è attraverso di lui che poi in qualche modo ho realizzato, intorno al 2000, il mio primo amplificatore Single Ended. Lo feci per capire come si comportasse all'ascolto, oltre a studiarne le caratteristiche tecniche. Ho iniziato la sperimentazione proprio su un amplificatorino SE da 2,5 Watt, in apparenza una potenza assolutamente ridicola, dotato di una 807. Si tratta di un tubo "tristemente" noto per essere stato utilizzato nella seconda guerra mondiale nei trasmettitori. Era un tubo a radiofrequenza che a piena potenza arrivava a 60 MHz e a 120 MHz a metà potenza. Tutti i trasmettitori di questo mondo lo utilizzavano e tutt'ora credo sia impiegato per quell'uso. La 807 è semplicemente una 6L6 in vetro con l'anodo in testa, può operare in radiofrequenza perché le capacità parassite anodo/griglia, essendo l'anodo in testa, sono molto più basse. Questo vede la griglia attraverso il vetro e attraverso la struttura dello zoccolo, con una capacità parassita di almeno un ordine più bassa rispetto alle altre valvole. Dal punto di vista dei parametri in bassa frequenza è una 6L6 GC. Allora cosa ho fatto? Considerato che la 807 è una valvola reperibile anche NOS a basso prezzo (esistono ancora stock risalenti alla seconda guerra mondiale), il mio primo amplificatore montava proprio quelle, delle Mazda che avevo trovato da un rivenditore. Ma l'inghippo dove sta? Che quando le connetti a triodo la potenza è irrisoria: soltanto 1,5 Watt di targa (in realtà sono 1,4) mentre ne dissipano 25.
Alla fine sono riuscito a tirare fuori due Watt e mezzo. Un altro problema era la distorsione. La 807 è una valvola documentatissima, proprio perché è stata molto usata, c'era sui Williamson americani, nelle scatole di montaggio Heat-Kit. Gli aspetti teorici, ridotti all'osso, sono abbastanza chiari, ma se uno non ascolta non potrà mai farsi un'idea precisa. Così realizzai anche un SE con le 2A3, dopo che Sergio me ne aveva portato uno fatto da lui. Da quest'esperienza è nato il secondo "step", cioè il passaggio dai Push-Pull ai Single Ended, dove mi resi conto che le cose teoriche tornavano. Scoprii che esisteva una correlazione tra il privilegiare la distorsione di seconda armonica, delle pari rispetto alle dispari, è la piacevolezza d'ascolto. Il PP ideale, con un trasformatore d'uscita ideale, con valvole ideali, elimina matematicamente le armoniche pari, questo è il suo "disastro". Se se ne costruisce uno estremamente raffinato, distorce solo di armoniche dispari. Dieci anni fa gli amplificatori erano tutti Push-Pull perché avevano il vantaggio di erogare una maggior potenza. Inoltre, non c'è la magnetizzazione in continua del nucleo sul primario del trasformatore e si elimina il ripple. Non è cosa da poco perché in questa maniera si verifica un grosso vantaggio nella progettazione del trasformatore d'uscita, molto più facile da realizzare in un PP che in un SE. Nel PP ci sono due rami in controfase come corrente di polarizzazione; infatti fisicamente, a parità di potenza i trasformatori sono più piccoli, mentre in un SE progettato a dovere, da venti Watt in poi, il trasformatore d'uscita comincia a diventare un oggetto non solo complicato ma anche costoso, grosso e pesante.
Pertanto sono approdato al Single Ended. Ne progettai uno anche con le valvole 46, uno strano tubo, sempre trovato in dipartimento, dotato di due griglie, che può essere utilizzato sia a triodo che a tetrodo. Il mondo dei tubi è una cosa infinita, sono stati talmente usati (e continuano a esserlo) che ce ne sono ancora oggi una valangata in giro. La Ken-Rad nel 1936 disegnò la valvola 6L6 (mi mostra il report), che è un tetrodo a fascio. Questo tubo ha dato il via a tutta una genia di valvole della stessa configurazione. Cosa cercavano gli inventori di questa valvola? Il loro scopo era, nell'epoca dei triodi, fare un tubo che permettesse di avere una potenza superiore, con dei parametri di guadagno molto più alti. I triodi a riscaldamento diretto, tipo le 2A3 o le 300B, forniscono dei guadagni in tensione molto bassi. Le citate 2A3 e 300B, molto simili tra loro, amplificano in tensione per quattro volte, questo significa che quella presente in griglia viene moltiplicata per quattro. Gli uomini della Ken-Rad si erano stancati di questi numeri assurdi, allora inventarono il primo tetrodo a fascio ma, nel contempo, portarono avanti anche lo studio armonico. Nota bene: la potenza è in funzione del carico, ma anche le distorsioni sono in funzione di questo. Nei report dell'epoca venivano mostrate nei grafici la seconda, terza e quarta armonica, in alcuni si arrivava sino alla settima. Possiamo vedere che la terza armonica di una 6L6 mostra un andamento in salita, al contrario la seconda. Questi progettisti allora giunsero alla conclusione che non era conveniente far funzionare il tubo a potenza massima, poiché in questa condizione la terza armonica diventa superiore alla seconda.
Ho cominciato a lavorare facendo una semplificazione teorica, consistente nel tenere in priorità la distorsione armonica e non gli altri tipi, che sono l'intermodulazione e quella transiente. È evidente come l'orecchio gradisca tutto quello che è pari e questo viene inequivocabilmente fuori dal punto di vista musicale: la musica procede per ottave e con questa anche gli armonici. Con tutta probabilità è questa la ragione per cui l'orecchio viene disturbato da un basso tasso di dispari e non da un alto di pari. Si può sopportare anche un 10% di pari, ma appena si presentano le dispari il suono diventa metallico. La teoria è questa, ma se lo stadio finale è forgiato da un driver di un certo tipo, la figura di distorsione che si ottiene può essere completamente diversa da quella prevista. C'è perciò tutto uno studio da fare sulla sezione driver, che dev'essere vista in stretta connessione con quella finale. I transistor distorcono sostanzialmente di armoniche dispari, anche se i tassi sono molto bassi. Tutto parte, e gli americani sono sempre stati i primi nella ricerca, dalla sperimentazione sull'orecchio, dalla sua percezione. Possiamo assimilarlo a una sorta di amplificazione di potenza che, quindi, non si comporta assolutamente in modo lineare, ma in maniera logaritmica. Perciò, in qualità di sensore finale, è il primo a distorcere di quei parametri che sono in definitiva anche quelli delle apparecchiature elettroniche e dei trasduttori. Va dato merito agli americani di aver studiato da sempre queste cose.
Negli anni '30 (mi mostra un testo universitario americano del 1932: "Radio Engineering di F.E. Terman) negli USA c'era già tutto, non solo dal punto di vista elettronico ma anche da quello del "sound equipment". L'ultimo capitolo di questo libro parla proprio di tale argomento, è un testo fondamentale che contiene tutti principi dell'acustica da cui sviluppare un discorso sull'audio. Troviamo, per esempio, i range di emissione in frequenza di tutti gli strumenti musicali di un'orchestra, tutte le nozioni di base da conoscere prima d'iniziare a progettare un apparecchio di riproduzione audio. Radio Engineering è stato edito sino 1960, ne sono uscite in tutto una ventina di pubblicazioni. Notevole era il marchio Acrosound (mentre parla Dorino sfoglia Radio Engineering Handbook di K. Henney, una rassegna audio del 1959), produttore di trasformatori d'uscita e inventore della configurazione ultralineare, una variazione su tema, ora un po' abbandonata, che consiste nell'attuare la controreazione su una presa intermedia. Altro argomento cruciale da affrontare è la controreazione. Un sistema ad anello aperto, senza reazione negativa, è stabile per definizione, cioè sollecitato in qualsiasi modo, non entrerà mai in oscillazione. Trasportando questo concetto nell'audio, un amplificatore di potenza senza controreazione non avrà mai problemi di stabilità. Visto che il segnale musicale è di natura impulsiva, se invece la controreazione è presente, l'amplificatore su un transiente intenso potrebbe mettersi a oscillare. È chiaro che senza controreazione totale l'oggetto è il migliore possibile.